Diritto e diritti

Pagina successiva Maneggiare le norme

Diritto e diritti: i principi fondamentali

L’obbiettivo di questo sito è quello di fornire un piccolo aiuto pratico a cittadini (pazienti, consumatori o operatori) che vogliano provare ad ottenere non tanto “giustizia” (che è sempre questione di opinioni) ma semplicemente nulla di più e nulla di meno di quanto la legge garantisce.

Per quanto strano possa sembrare, questa normale aspirazione fa in realtà riferimento a concetti che sono il fondamento della civiltà europea. Infatti la concezione del cittadino come padrone si sé stesso, fonte (e non oggetto) della sovranità, e quindi soggetto solo alla legge (che vincola anche lo stesso Stato, perciò chiamato “Stato di diritto”) risale alle città greche e, soprattutto, alla Roma repubblicana. Per chi fosse interessato ad approfondire la questione consigliamo il libro di Philip Petitt “Il republicanesimo. Una teoria della libertà e del governo”. Qui ci interessa solo sottolineare lo stretto collegamento tra la mentalità “repubblicana” e la capacità rispettare e far rispettare i diritti propri e altrui indipendentemente dal genere di ostacoli incontrati.

Può forse sembrare eccessivo e sproporzionato riferirsi addirittura al Senato e al Popolo Romano (SPQR). Ma, come abbiamo più volte personalmente constatato, spesso, è solo la coscienza civica (quella ostinata vocina interiore che ci ripete che abbiamo il dovere di esercitare i nostri diritti e il diritto di fare il nostro dovere ) a consentire al comune mortale di spuntarla di fronte ai numerosi burosauri ed Azzeccagarbugli ,altrimenti imbattibili “in frotta di testimon, di scritti e di postille” (Ariosto, Orlando Furioso, canto 21) nell’imbrogliare le cose a discapito del Renzo Tramaglino di turno.

Perchè conoscere bene la Costituzione è utile e conveniente

Spesso si tira in ballo strumentalmente la Costituzione per opporsi a qualche iniziativa del governo temporaneamente in carica, per bloccare gli effetti economici sgraditi di una legge fiscale o per ottenere per altra via quello che non si è potuto ottenere in Parlamento.

La Costituzione (e la storia di ogni singolo articolo) ha però anche un altro uso pratico e, si potrebbe dire, quotidiano: aiuta a “farsi l’orecchio” sul chi, cosa e come si può o non si può, si deve o non si deve, fare o non fare nell’ordinamento della repubblica. Ciò, naturalmente, non trasforma il cittadino in un giurista ma può aiutare a fare domande e richieste giuste alle persone o alle autorità giuste evitando sia di accettare ingiusti danni sia di perdere inutilmente tempo in vertenze senza fondamento.

Ci consentirà anche di percepire eventuali “stecche” anticostituzionali nei comportamenti o in omissioni di organizzazioni pubbliche o private, attuati a nostro danno o pretesi da noi a danno altrui, e quindi di attivarci per verificare se derivano da una legge o da semplice arbitrio. Ciò nello stesso modo in cui anche un umile loggionista può percepire e rilevare la stonatura di un seppur famoso cantante lirico anche senza conoscere il pentagramma. .

A questo scopo, oltre ai sacrosanti ma spesso interpretabili principi della Prima Parte della Costituzione è importante leggere anche la Parte Seconda e tutto ciò che ne deriva: in primo luogo la cosiddetta gerarchia delle fonti normative cioè, in sintesi, chi ha il potere di normare cosa e quindi quali norme prevalgono su altre

Una storia sintetica della Costituzione si può scaricare gratis dal sito del Molto utili anche gli articoli dedicati al costituzionalismo dal sito di Civitas Schola.

Diritto e diritti nell’ambito della salute

Molti documenti internazionali e nazionali hanno proclamato un serie di diritti nell’ambito della salute. Nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo metteva per la prima volta la salute e le cure mediche tra i diritti fondamentali di ogni persona (art. 25). La Costituzione della Repubblica Italiana, promulgata un anno prima, ridefinisce invece in questo modo, all’articolo 32, i diritti e i doveri relativi alla salute: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento se per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Come si vede, in queste parole l’accento non è sulla salute in quanto tale (che è definita diritto fondamentale del singolo ma solo “interesse” della collettività) ma sulla libertà dell’individuo, senza alcun riferimento alla cittadinanza. Cinque parole sono infatti dedicate ciò che la Repubblica deve fare (garantire cure gratuite agli indigenti) e ventinove parole a ciò che la Repubblica non deve in nessun caso fare: obbligare arbitrariamente a trattamenti sanitari e violare, per qualsiasi motivo, i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Ai costituenti era quindi ben chiaro il possibile rapporto tra sistema sanitario, arbitrio e vanificazione della libertà e della dignità umana e ciò viene confermato dal disposto di altri articoli della carta costituzionale: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di (…) condizioni personali e sociali.” (art.3) “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.” (art. 13). “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica (…) sono regolati da leggi speciali.” (art. 14).

Da parte sua l’Unione Europea ha affrontato la questione del diritto alla salute in vari provvedimenti in continuo aggiornamento reperibili sul sito del Parlamento Europeo

Per quanto riguarda le persone dedite alcol, farmaci o droghe, inoltre, nel 1993 l’articolo 129 (titolo X) del trattato di Maastricht riconobbe la tossicodipendenza come malattia, con ciò estendendo alle persone tossicodipendenti lo status di “pazienti”: “L’azione della Comunità riguarda la prevenzione delle malattie, specialmente quelle di grande rilevanza, compresa la tossicodipendenza”

Movimenti di base ed evoluzioni normative: la legislazione in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, i principi sopra citati erano già stati recepiti in una serie di leggi nazionali che si proponevano di attuare il dettato costituzionale alla luce delle esigenze espresse da ampi settori della società civile. Nel 1975 la legge 675 depenalizzò la detenzione di droghe per uso personale e riconobbe alle persone tossicodipendenti il diritto a cure liberamente concordate, all’anonimato e alla libera scelta del luogo di cura. Tali disposizioni, tuttora in vigore anche se spesso vanificate da direttive regionali o da decisioni di singoli servizi, vennero poi riconfermate nella DPR 309 del 1990. Nel 1978 la legge 194 riconobbe alle donne il diritto all’informazione, alla libera scelta dei metodi contraccettivi, alla riservatezza, alla autodeterminazione nel decidere l’interruzione della gravidanza nel caso di minaccia per la propria salute fisica psichica o sociale. Nello stesso anno la legge 180 limitò drasticamente (per casi e per durata) la possibilità di effettuare trattamenti obbligatori ai malati di mente, sottopose i medici al controllo dei sindaci e del giudice tutelare e dispose la liquidazione degli ospedali psichiatrici. Pochi mesi dopo la legge 833 del 1978 riorganizzò il sistema sanitario secondo i principi di universalità delle prestazioni, rispetto della dignità e della libertà individuale, uguaglianza di accesso alle cure e, per la prima volta, previde esplicitamente la partecipazione dei cittadini nella programmazione e nell’attuazione dei servizi. Nel 1990 la legge 135 vietò ogni discriminazione nei confronti delle persone con HIV, ribadì il principio del libero consenso dell’interessato per l’effettuazione del test e vietò l’identificazione della persona nel corso di indagini epidemiologiche. Nel 1996 la legge 675 (ora sostituita dal D. Lgs. 196//2003 e ora dal Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016) recepì la direttiva 95/46/CE sulla “protezione delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, in particolare della loro vita privata, rispetto al trattamento dei dati personali” prevedendo particolari garanzie per i dati “sensibili”, tra cui quelli sanitari. Anche molte regioni legiferarono in materia. La regione Lombardia, per esempio, con la legge regionale 48/1988 deliberò, riferendosi esplicitamente al dettato costituzionale, una lunga serie di garanzie prevedendo anche, all’articolo 3, l’istituzione, nelle strutture sanitarie, di comitati di partecipazione degli utenti e la creazione di un ufficio di pubblica tutela che ne promuovesse gli interessi.

Perchè le norme non bastano

Il proliferare di tutte queste norme dimostrò l’efficacia delle azioni volte ad ottenere il riconoscimento formale dei diritti civili in ambito sanitario tanto che l’Italia divenne, da questo punto di vista, una delle nazioni considerate più avanzate. A questo progresso sul piano dei principi, però, non corrispose affatto un altrettanto chiaro cambiamento dei comportamenti. Per esempio, per quanto riguarda i servizi tossicodipendenze, la proclamazione del diritto alla autodeterminazione rispetto alle possibili scelte terapeutiche, all’anonimato, alla libera scelta del medico e del luogo di cura, al rispetto della dignità della persona non ha impedito che persone dedite a sostanze si siano viste imporre terapie dipendenti più da credenze o opinioni dei terapeuti che da quanto noto in letteratura, si sentissero chiedere la carta di identità, scoprissero che i loro dati erano finiti in data base amministrativi senza anonimizzazione a loro totale insaputa, venissero costretto a rivolgersi al Ser.T sotto casa o a giustificarsi se intendeva cambiare servizio in nome di una inesistente “competenza territoriale”, fossero obbligati a urinare davanti ad altri senza alcuna giustificazione, fossero costretti a servirsi di operatori di cui non era dato conoscere la qualificazione o addirittura la professione. Tuttavia la legislazione “garantista”, benchè frequentemente violata, consentì di intentare una serie di vertenze, anche giudiziarie, che contribuirono a tenere viva l’attenzione sulle effettive condizioni in cui veniva erogato il servizio sanitario. Il confronto tra le promesse e i fatti, inoltre, spostò l’attenzione dai principi proclamati agli interessi concreti dei cittadini.

La Carta dei Servizi

Nel 1992 il decreto legislativo 502 (poi modificato con il decreto legislativo 517/93) riorganizzò in senso privatistico il servizio sanitario trasformando le vecchie Unità Sanitarie Locali in aziende, prevedendo la parità pubblico/privato e trasferendo alle Regioni le competenze in materia, pur ribadendo il principio della libera scelta del cittadino su tutto il territorio nazionale. L’aziendalizzazione, inoltre, spostò l’attenzione del legislatore dall’ambito costituzionale dei diritti umani a quello più “aziendale” dei diritti dei consumatori ed introdusse la “carta dei servizi” cioè l’obbligo da parte di chi eroga un servizio pubblico di dichiarare dettagliatamente quali prestazioni e quali diritti si impegna a garantire e a quali condizioni.

Le Carte dei Servizi devono ispirarsi ad alcuni principi comuni, indicati nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 19 maggio 1995 e successive Linee-Guida N. 2/95,

Dal 1994 in poi, inoltre, una serie di altri provvedimenti ministeriali e regionali definì ulteriormente gli obblighi della amministrazioni e le vie attraverso cui cittadini possono far valere le proprie ragioni. Una scelta dei più importanti provvedimenti è contenuta nella pubblicazione del Dipartimento Programmazione del Ministero della Salute “Quaderni della Carta dei servizi pubblici sanitari: Norme e indirizzi di riferimento” reperibile sul sito https://www.salute.gov.it/ . Purtroppo tutto ciò non sembra aver avuto effetti particolarmente significativi sulle concrete condizioni dei cittadini, né per ciò che riguarda i servizi sanitari in generale, né per ciò che riguarda i servizi per le tossicodipendenze. L’introduzione di continui aggiornamenti legislativi in un corpo amministrativo e professionale non particolarmente sensibile a questi problemi pare aver aggravato la mentalità burocratica ed autoritaria che si voleva contrastare. Così il Renzo Tramaglino di turno che intenda far valere quanto garantito dalla legge si trova spesso a vedersela con frotte di Azzeccagarbugli. Cioè viene spesso scoraggiato dal linguaggio incomprensibile, contorto e vago con cui viene resa l’informazione, da una modulistica inutile o fuorviante, da procedure punitive, da atteggiamenti discriminatori o ostili, da ostruzionismi palesi. E, soprattutto, tutto ciò, viene spesso attribuito all’esistenza della legislazione (quindi al lontano Parlamento) e non all’incapacità di applicarla (quindi ai vicinissimi servizi regionali).